Cari amici,

tante cose sono cambiate da quel giorno del 1997 in cui ho aperto il mio primo sito web.
Avevo 13 anni, ed ai tempi non esistavano i blog, i forum, e altri sistemi di comunicazione: c’era solo Digiland, Usenet, la mail (una per famiglia), e i siti caserecci fatti con Netscape.

È così che ho iniziato a parlare dei miei hobby sperando di intercettare coetanei e coetanee con medesime passioni.
Jim Carrey, il Milan, Dragonball, e poi il Metal, il basso elettrico, le “nerdate“.
Questo sito mi ha accompagnato per oltre 12 anni, di cui 10 su altervista, prima con pagine “artigianali” HTML, fatte di volta in volta con programmi più sofisticati,  poi tramite una faticosa e del tutto manuale “migrazione” alla piattaforma wordpress.

Voi, lettori e lettrici, mi avete accompagnato per gli anni del liceo, quelli dell’università, a quelli della “gavetta” nel mondo del lavoro.
Anche il sito è cambiato, col tempo. All’inizio mi interessava farvi vedere il mio ultimo colore pazzo di capelli, o il nuovo basso elettrico.
Col tempo, ad interessarmi maggiormente, sono stati i contenuti del blog, condivisi spesso anche nel forum “Hair Rock Cafè“, soprattutto se di attualità, politica, etica, religione.
Questo ha portato ad una perdita di molti lettori, quelli che venivano qui solo per le foto, ma alla conquista di nuovi lettori, magari pochi, ma di qualità, che poi sono diventati amici.

Non è stato facile gestire i vecchi utenti, soprattutto quelli della chat di hair rock café. Ai tempi non me ne rendevo conto, ma si trattava di un gruppo abbastanza omogeneo, di nati tra la fine degli anni ’60 e la fine degli anni ’70, infelicemente sposati, diplomati all’istituto tecnico informatico e con lavori noiosi e insoddisfacenti, che spesso in questa chat buttavano le loro ore, volendo imporre la loro visione delle cose. Non erano interessati ai contenuti ma solo “alle foto”, che ovviamente io e i miei amici ed amiche ventenni non eravamo interessati a condividere con loro.

Ho anche fatto una maturazione personale. Nei primi anni di gestione di questo blog, come tutti gli adolescenti, ricercavo l’approvazione degli altri, e la cultura “mainstream” mi portava a ricercarla in coetanei di tutta Italia e del mondo, vittima un po’ del fatto che le persone che, forse solo per caso, vengono educate con la repressiva educazione femminile, sono abituate al fatto che, indipendentemente dai loro talenti, saranno giudicate solo in base a quello, alla centralità dell’aspetto fisico, della sua cura, della sua conformità alle aspettative sociali.

Erano anni in cui, da autodidatta, avevo aperto un mio sito personale, ma erano le prime volte nella storia che si comunicava in modo così semplice con estranei di altre regioni d’Italia. Avevo imparato la videoscrittura da autodidatta, ne ignoravo le regole tipografiche, come dove lasciare lo spazio, se prima o dopo la virgola, prima o dopo il punto. Non sapevo come si facesse la “e” maiuscola accentata, e la facevo con l’apostrofo, come fanno adesso solo i cinquantenni. E, come tanti altri, di tante altre regioni, usavo dei dialettismi senza sapere che lo fossero. Non neghiamolo, l’Italia, a cavallo tra gli anni Novanta e gli Anni Zero, era ancora molto dura con chi non era del Nord, se provava a mettere il naso fuori dalla sua regione, anche solo virtualmente, e quindi da questi diplomati Itis di Milano, con 15 o 20 anni in più di me ho dovuto ricevere tanto disprezzo per anni, soprattutto virtualmente (perché poi queste persone non impiegano energie a venirti a dire certe cose dal vivo).

Anche i primi anni al Politecnico ho dovuto subire queste continue battute sull’accento o sui dialettismi, da persone che in più di me avevano solo il fatto di essere cresciuti col privilegio di vedere più varietà, più diversità, viaggiare, mangiare indiano, avere più contatti, solo per le famiglie in cui erano nati e non perché erano migliori. Ci ho messo anni a colmare il gap, eppure molti di loro non sono riusciti a finire gli studi nonostante i privilegi che avevano.

Eppure, gli anni al Politecnico mi hanno cambiato molto.
Vengo da una famiglia colta, politicamente disimpegnata, mediatamente “democristiana”, e al liceo non riuscivo a sopportare il “comunismo” anni ’70 di alcuni professori noiosi, che usavano parole vetuste per interessarsi a tematiche vecchie e che sentivo da me lontane: una sinistra tutta incentrata sull’assistenzialismo agli svogliati, mentalità che cozzava con i miei valori meritocratici, rimanendo comunque su posizioni tradizionaliste sui temi esterni all’economia.

Poi, il Politecnico, è stata una vera palestra di vita, non solo per quello che ho imparato sui libri. Certo ci sono anche le persone piene di pregiudizi che ho descritto prima, che non sempre arrivano dalla profonda provincia, ma a volte arrivano anche dal centro di MIlano. Eppure, credo che, più che formare Architetti, la facoltà di Architettura formi “progettisti“, persone che concepiranno la loro vita come un “progetto”, con una forte mentalità “progettuale”, ma prima di tutto la vera educazione è stata all’apertura mentale, all’inclusione della diversità, all’andare oltre l’aspetto fisico, a comprendere le disparità della società odierna, anche di quella Occidentale in generale, che tratta in modo diverso per sesso d’appartenenza, etnia, e a volte solo per ragioni meramente estetiche e di espressione di sé.
Io vengo da una facoltà in cui ragazze rasate a pelle, ragazzi con alte creste viola e dilatatori, potevano prendere 30 e lode, laurearsi con 110. E l’impatto con un mondo del lavoro conservatore, se non reazionario, legato alle destre, ma non solo per l’aspetto liberista, ma per un “ateismo devoto” che censura tutto ciò che diverge dalle aspettative, è stato un vero trauma.

Non credo rimarrò a vita a fare tristi gavette a finta partita iva in studi professionali in cui il titolare non è abilitato e precisano già che dopo la tua abilitazione diventerai un “problema” e ti manderanno via, ma anche luoghi dove le uniche domande che sanno porti, per sceglierti o no, è se a casa hai il letto matrimoniale, o se hai fatto la cresima.
Ci hanno addestrato a chiamare “lavoro” la cosiddetta “gavetta” negli studioli tecnici dei baroni (universitari e non) che disprezzano la tecnologia, disprezzano i giovani, ma poi affidano la tecnologia ai giovani, per pagarli, per un giorno, quanto una colf prende in due ore.

Sento che la mia mentalità imprenditoriale presto cozzerà con questi lavori a “finta partita iva”, che di “liberista” e di “indipendente” hanno solo gli svantaggi di un contratto che è un “non contratto”, ma che presentano tutti i limiti e i difetti (ma senza le tutele) dei posti da dipendente, compresa la richiesta di bella presenza, gli orari rigidi, il non poter guardare il cellulare, il sessismo, il razzismo, l’invadenza sulla vita privata.
Sono arrivati a chiedermi, anche se ho un fidanzato da sette anni, se mi piacciono “anche le donne”, e io non volevo rispondere di no, per principio. A me le donne, tendenzialmente, non interessano, ma non mi piace aderire ad una mentalità che esclude e mette le mani avanti, come se fosse un crimine il semplice fatto che un domani potrebbe piacermi qualcosa di diverso da quello che mi piace oggi.

Qualcuno dice che si nasce incendiario e si muore pompiere: nella provincia si nasce pompieri…e io, grazie agli studi superiori, alla metropoli, sento di aver vissuto un profondo processo di maturazione.
Certo, la consapevolezza è una strada di non ritorno. Faccio fatica, dopo aver terminato questi studi, a piegarmi alle aspettative del mondo del lavoro, alle sue richieste, ai suoi non detti, e alla sua normatività.

È per questo che non mi interessa una gavetta che tutti dicono che “va fatta”, ma che mi puzza di fregatura, visto che ho colleghe 40enni che sono ancora lì a fare le stesse cose che faccio io.
Sto pensando di sfruttare le competenze maturate anche nella gestione di blog e forum per cambiare settore, cercare sicurezza economica per qualche anno, in un posto impiegatizio, abilitarmi (a giorni ho l’esame a Milano), poi fare qualcosa di mio, potendomi scegliere i clienti, selezionarli anche solo in base alla simpatia.

Devo questa consapevolezza, su questo preciso tema, al mio amico Teo il Fonico, che per primo mi ha fatto capire che una “finta partita iva” non è un contratto, e che mi ha fatto capire che a volte è davvero meglio un lavoro da dipendente, con malattia, buoni pasto, ferie e permessi, magari part time, che ti permetta di costruirti un progetto tuo, continuare a studiare, fermarti un attimo per capire qual è la tua strada.
Credo che aprirò un blog d’Architettura, per fare cultura sull’architettura “open source”.

Ho voglia di indagare cose nuove, il buddhismo, la politica cittadina, imparare le lingue, viaggiare. Vorrei comprare casa, e andar via da questa catapecchia in affitto che poteva andar bene quando ero studente. Mi piacerebbe prendere la patente A e comprare una bella moto.
Poi ci sono tutte le cose che NON mi interessano. I concorsi pubblici da tecnico comunale, i quintali di normativa locale da studiare. O l’acquisto di un’automobile. Non mi interessa il matrimonio, né i figli, a meno che non fossero adottati. In fondo, a non interessarmi, è un immaginario che altri hanno costruito per me, mettendomi addosso le loro aspettative, su ciò che era “normale” e “ragionevole”, come quegli zii invidiosi che per anni hanno detto che “ovviamente avrei fatto medicina, perché ovviamente avevo la strada spianata“, e che forse mi hanno spinto a fare altro, ad attraversare “le colonne di Ercole“, rischiando di “perdere la bussola”, di dover capire, senza nessun aiuto, quale sia la mia strada, ma non ho rimpianti o rimorsi: ognuno di noi è artefice del suo destino.

Troppe cose in pentola per continuare ad aggiornare questo sito, che ha esaurito ormai la sua funzione.
Inutile stare qui a scrivere per lettori interessati ad una parte di me che non esiste più. Non mi interessa mettere foto, perché non provo più niente a ricevere un apprezzamento per una foto.
Potrei mettere contenuti, idee, riflessioni, ma sento che tutto ciò ha bisogno di “nuovi contenitori“.

Questo blog è come una giacca di pelle, un chiodo, che mi è andato bene per tanti anni, ma che adesso non è più della mia taglia.
Chi vorrà seguirmi ancora, può contattarmi tramite “contact me“, e non ho problemi a portarlo/a nella mia nuova vita.
Per tutti gli altri, beh, forse è un addio, ma va bene così.

Lascerò il sito attivo, perché qualche pazzo mi gugola ancora. In bocca al lupo e grazie per esserci stati

 

 

Un addio?

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